L’emergenza sanitaria dovuta al COVID-19 ha costretto molti musei a chiudere le porte e, contemporaneamente, è emersa la necessità di aprirsi a nuove forme di comunicazione. Una vera rivoluzione!
I tentativi di fornire un accesso differente sono stati e sono molteplici, la comunicazione in rete è letteralmente “esplosa”; la quarantena dovuta all’epidemia segna un prima e un dopo nella comunicazione culturale a livello mondiale.
Ma qualche domanda sorge spontanea, come direbbe un caro e vecchio giornalista: Quali sono state i media digitali maggiormente utilizzati? La comunicazione online adottata dai musei soddisfa le attese e i bisogni del pubblico? Come possono i musei rimanere vivi, se le persone non possono visitarli? Quale potrebbe essere il loro ruolo post COVID -19?
Molte di queste domande non hanno e non possono avere un’immediata risposta. Le tante strategie adottate aprono prospettive forse prima inimmaginabili, soprattutto hanno consentito di raggiungere un nuovo pubblico, travalicando spesso quei confini localistici che solo la rete ci consente di travalicare. Una tendenza che, pur essendo già iniziata in modo assai rilevante negli ultimi anni, con la pandemia ha subito una notevole accelerazione con risultati estremamente positivi.
Musei e social media
Se Il 92% dei musei è chiuso, escludendo le eccezioni di Svezia, Albania e Austria, di contro la crescita dei social media è stata significativa: più del 70% dei musei ha aumentato la propria presenza online (NEMO 2020).
Più di un terzo dei Musei (circa il 70%) ha attivato nuovi canali social o ha riattivato canali social rimasti finora inutilizzati (Icom – International Council of Museums 2020). In particolare emerge che il:
- 44% ha aperto un canale YouTube
- 27% ha aperto un account Instagram
- 10% ha aperto una pagina Facebook
- 8% ha attivato un account su piattaforme su cui poter caricare podcast (Spotify, Spreaker, etc.)
- 6% ha attivato Twitter
A seconda del canale scelto e del target di riferimento i musei hanno pubblicato contributi video, post e fotografie.
Il 44% degli istituti museali ha aperto un canale YouTube (ICOM 2020). Occorre però precisare che, all’attivazione di un nuovo canale, non corrisponde necessariamente una scelta editoriale precisa e in diversi casi sembra mancare completamente l’idea di un calendario di pubblicazione. L’apertura di nuovo canale YouTube spesso non ha prodotto l’engagement di nuovi utenti, che sono sostanzialmente rimasti invariati, l’aumento della presenza su YouTube non ha difatti significato un aumento dell’utenza. In generale, sono stati proposti video per bambini, dove prevaleva l’elemento ludico, e interventi per adulti senza però selezionare i differenti destinatari dell’offerta. Sovente i contributi video hanno mostrato il direttore, i membri dello staff o i collaboratori del museo che hanno illustrato una o più opere della collezione adottando spesso un registro narrativo.
Il 27% ha aperto un canale Instagram. Un account di un museo ha guadagnato in media 8,4% follower in più (NEMO 2020). L’#hastag più utilizzato è stato #apertipervoi insieme a #artenonsiferma e #museichiusimuseiaperti. L’ #museichiusimuseiaperti, lanciato dal Museo Tattile di Varese, ha dato il via ad una “maratona” di storie per raccontare opere, collezioni e depositi di bellezze.
Il 10% delle istituzioni culturali ha aperto un profilo Facebook (Icom 2020), attualmente il social più famoso è utilizzato dall’81% dei Musei (NEMO, 2020).
Il racconto di singoli oggetti delle collezioni pare sia stato tra le modalità preferite insieme ai tour virtuali e alle mostre online. La strategia è risultata vincente: il 40% dei musei ha riportato un aumento delle visite online a partire dal giorno della chiusura, non sono cresciuti solo i post, ma anche i follower: su Facebook, una pagina dei musei ha incrementato in media più del 5,1% i suoi follower nell’ultimo anno. Questo indica la direzione dei musei verso un coinvolgimento del pubblico online.
L’esperienza del lockdown non ha solo dato un significativo impulso alla presenza online dei musei, in parte ha dettato anche un cambiamento di marcia: la necessità di modificare le modalità di fruizione dei contenuti insieme alla necessità di proporre in modo più esplicito i propri valori.
L’esempio più rilevante di questa nuova tendenza è senz’altro la comparsa di TikTok. La fiorente piattaforma di social media “frequentata” per lo più da giovani utenti per realizzare e condividere brevi video è sbarcata tra le maestose sale dei più austeri musei. Gli Uffizi di Firenze sono stati tra i primi a utilizzare Tik Tok, pubblicando video insolitamente irriverenti che ne sfidano la dignitosa reputazione.
@uffizigalleries mangiato troppo?🐖 ##dieta ##consigli ##iniziodomani ##ladietachevorrei ##comedy ##uffizi
♬ suono originale – Federico Borelli
A onor del vero, in Italia, la Galleria Nazionale d’Art Moderna e Contemporanea di Roma ha aperto il suo canale a fine 2019 in occasione del ritorno nelle sue sale del capolavoro di Gustav Klimt. Guardando all’estero, il Rijksmuseum di Amsterdam ha pubblicato i primi post ad aprile 2020 e il Museo del Prado di Madrid poco dopo, così anche il Naturkundemuseum di Berlino e il Grand Palais di Parigi.
Il Metropolitan Museum of Art ha utilizzato invece la piattaforma l’anno scorso per un paio di progetti, ma il suo account è ora inattivo. Gli Uffizi sono un’istituzione particolarmente improbabile di questo gruppo selezionato, dato che fino a un paio di anni fa si comportava come se Internet non esistesse; solo a marzo 2020 ha aperto un profilo su Facebook.
Tipologie di contenuti digitali creati ad hoc
Quasi il 90% dei musei chiusi ha pubblicato materiali con contenuti creati ad hoc, in molti casi autoprodotti (ICOM 2020). Le soluzioni utilizzate sono state eterogenee, rispecchiando la grande diversificazione del ricchissimo panorama italiano.
Durante il confinamento, ci hanno fatto compagnia webinar, conferenze su YouTube, brevi e divertenti video sulle collezioni museali, visite virtuali tramite piattaforme streaming, mostre online, cataloghi digitali, dirette Facebook, eventi online, innumerevoli #hashtag e foto su Instagram, corredate da storie e racconti. (NEMO 2020)
Tutto questo ha significato, per chi lavora dietro le quinte di un museo, mettersi alla prova e approntare nuove soluzioni e idee per la comunicazione e la produzione di contenuti.
Sicuramente è stata l’occasione per molti musei di fare i conti con la propria digital-strategy, scoprendone l’importanza. La proposta di strumenti gratuiti ad hoc ha sicuramente segnato una strada per costruire relazioni più consapevoli e proattive con gli utenti.
I numeri e il riscontro dei diversi progetti proposti raccontano della voglia di ridurre una distanza al di là della retorica, anche a prezzo di una quota di quella sacralità di cui generalmente sono circondate le istituzioni culturali.
Certo, dopo l’emergenza sanitaria, sarebbe importante non disperdere lo straordinario impulso al digitale emerso in questi mesi. Con le dovute cautele, la comparsa del Covid-19 e le conseguenti misure restrittive forse hanno prodotto un punto di svolta decisivo che ha improvvisamente cambiato prassi e modus operandi radicati da secoli, facendo saltare la maggior parte delle modalità comunicative e rendendo evidente la necessità di esplorare nuovi percorsi. Le organizzazioni culturali hanno sicuramente mostrato un rinnovato impulso all’innovazione, intraprendendo finalmente la strada mai effettivamente compiuta della trasformazione digitale, realizzando in poche settimane un programma di proposte e attività destinate a rimodulare in maniera significativa la loro idea di comunicazione, di valorizzazione e di promozione.
Il successo degli eventi online
Vale la pena sottolineare la nascita degli eventi live online, modalità che ha riscosso un inaspettato successo, probabilmente un possibile “format” per lo sviluppo futuro. Sintetizzando, il pubblico predilige un rapporto diretto, un’umanizzazione dell’esperienza digitale, che il social, se ben utilizzato, potrebbe consentire, attivando un dialogo di qualità con il pubblico.
Ovviamente è necessaria una “strategia umanistica” dell’uso del digitale, ossia centrata sull’utente e non fine a se stessa. Una strategia che offra servizi personalizzati per un’esperienza immersiva, condivisa e condivisibile, utilizzata per stimolare, coinvolgere e motivare i pubblici al dialogo, allo scambio e alla partecipazione sociale anche su nuove tematiche.
Per i musei, molto probabilmente, sarà un periodo di crisi a lungo termine dove il web potrà sicuramente giocare un ruolo cruciale nel mantenimento dei rapporti con il pubblico. Auspicabile sarebbe ragionare sulla qualità delle offerte culturali e pensare di adottare azioni programmate e non improvvisate. Numerosi sono gli esempi di musei che hanno adottato ammirevoli strategie di coinvolgimento del pubblico che potremmo conoscere nei prossimi articoli.