Più selvaggia della corsa all’oro nel West, quella alla digitalizzazione post-coronavirus sembra una precipitazione, quasi una slavina di imprenditori che si scapicollano verso valle con il solo scopo di formare un accartocciato groviglio di buone intenzioni, scarti e ottimismo a buon mercato.
Le cause di un simile, possibile dramma sono, sì, nella situazione che stiamo vivendo, caratterizzata da paura e precarietà, ma anche dall’incapacità di comunicare all’imprenditore l’urgenza della digitalizzazione, senza cadere nel semplicismo ideologico o nello spot televisivo, in cui – come al solito – tutto appare facile, veloce ed eccezionale. Il rischio di approcciare alla digitalizzazione in maniera immatura riguarda non solo il singolo imprenditore, ma tutto il Paese. Se la grande catena di elettrodomestici affida il proprio progetto digitale ai soliti cialtroni, quello che si genera non è soltanto la perdita di un (modesto) capitale.
Le sconfitte, infatti, modificano la personale visione del mondo, ed è in questo campo immateriale che si ha la perdita più pesante, anche per il sistema economico italiano. Una schiera di imprenditori che all’unisono grida con tono marziale “Io non credo al digitale”, solo perché in passato ha dato due lire al cugino senza cavarne un ragno dal buco, espone la nostra economia all’avanzata commerciale non di semplici concorrenti, ma di unità allogene capaci tanto di vendere, quanto di produrre e distribuire cultura.
Ci sono frasi, che, declinate in mille modi diversi, dovrebbero porre gli imprenditori su chi-va-là. Di seguito abbiamo raccolto una serie di approcci commerciali, quantomeno sospetti. È un elenco semiserio, che non ha pretesa di completezza. Chi vorrà contribuire a questa lista, è libero di farlo nei commenti a fondo pagina.
Su queste stesse pagine, abbiamo evidenziato l’incredibile aumento della domanda di acquisto online nei giorni dell’epidemia da coronavirus. È probabile che la serrata – anche quando passerà l’emergenza – abbia accelerato il trend alla digitalizzazione del commercio. Però un conto è dire che fuori città ha aperto un grande centro commerciale e che si affittano dei locali a prezzi convenienti; altra cosa è prendere la merce e aprire una bancarella nel parcheggio dello stesso centro commerciale.
Costruire un e-commerce richiede tempo, strategia e denaro. Costa meno di un negozio fisico, in alcuni casi può far fatturare di più, ma bisogna approcciarvi con la mentalità di chi sta aprendo un nuovo store. Viceversa è una bancarella, che non ti fa fare bella figura e a cui devi dedicare il tempo che togli al tuo negozio fisico.
Negli ultimi mesi ti sarà capitato di incappare in qualche guru che – non essendo evidentemente uno sviluppatore – ti diceva che i siti non servono a niente e che puoi guadagnare anche senza. Ora – in alcuni casi – non c’è nulla di sbagliato in ragionamenti simili, ma ti deve insospettire il solo fatto che la questione venga presentata come valida sempre o per intere categorie professionali.
Il sito, oltre ad essere un luogo digitale in cui sei completamente padrone, è necessario per rendere efficace il tuo marketing. Proprio perché è tuo, con un sito puoi – ad esempio – tracciare i cookie degli utenti e raggiungerli con sponsorizzate mirate, in base alle pagine consultate e alle azioni eseguite. Vale a dire che le campagne sponsorizzate che farai, se ben studiate, ti faranno risparmiare (e vendere di più) rispetto ad Ads che, ad esempio, conducono a una pagina Facebook o a una scheda Google MyBusiness.
È l’approccio diametralmente opposto al precedente. Si basa su un’era che non è più. Il CERN ha quantificato in 1,7 miliardi il numero di siti attualmente esistenti online. Nel 1992 erano dieci. L’epoca dell’Adamo ed Eva digitali, quella in cui lei/lui ti perdonava tutto perché eri l’unico partner possibile, è finita: da qui all’orizzonte il paesaggio pullula di gente e competitor, è un vociare di discussioni ed un luccichio intermittente di insegne luminose.
Esistere, insomma, non basta più. Con il sito hai il contenitore tuo, ma ti mancano contenuti e rete distributiva (social, advertising, campagne stampa, posizionamento su Google e marketing in generale). Chi ti vuole far credere che basti un sito per fare soldi, probabilmente pensa anche che basta una libreria (vuota) per capire il mondo.
Non funziona per compensazione: se pensi che a quest’ora avresti dovuto già digitalizzare la tua azienda, non puoi recuperare il tempo perso facendo il carico di servizi. Ci sono quelli che fanno per te e quelli che non servono, quelli che dovresti attivare ora e quelli che dovresti attivare dopo. Un commerciale ha (spesso) interesse a venderti di tutto. È il suo interesse, non il tuo.
C’è ancora chi vende il posizionamento di parole-chiave su Google, come se fosse Google. Del resto, c’è ancora chi chiama imprenditore per imprenditore, assicurandogli che sta parlando con un “Google Partner”. La SEO, ossia l’insieme delle strategie di posizionamento sui motori di ricerca, è un settore del marketing sempre più complesso. I motori di ricerca fanno di tutto per offrire contenuti di qualità e contrastare attività manipolative.
Questo non vuol dire che la SEO non esista più: semplicemente non è possibile assicurare il posizionamento di enne parole chiave. Chi lo fa, molto spesso, o mente o punta a confondere il suo interlocutore, per vendergli in realtà non il posizionamento organico, ma quello sponsorizzato (senza chiarire quanto budget sarà usato per l’advertising). Un approccio onesto alla SEO si basa su un’ottimizzazione di partenza e su una discussione seria e costruttiva riguardante i contenuti.
La selva dei siti web ti porta da quelli gratuiti a quelli da decine di migliaia di euro. Ora, a parte il fatto che – se ti muovi su questo range di prezzo – evidentemente non hai le idee chiare, ma tieni sempre in considerazione che anche solo la decenza comporta dei costi fissi. Se non ti viene richiesto almeno questo, vuol dire che non ricevi il bene o servizio in questione.
Ti faccio qualche esempio: Un sito web deve occupare un dominio e un server; che impone un canone almeno annuale; un servizio SEO richiede da uno a diversi tool, che hanno un costo per lo più mensile; la pubblicazione di foto è sottoposta a regole severe di copyright e le agenzie fotografiche costano; il photoediting professionale impone l’uso di uno o due programmi, il cui prezzo penso leghi il byte a un’oncia d’oro; etc. etc. etc. Vogliamo parlare del tempo di chi lavora al tuo marketing? D’accordo, no…
Prima di farsi prendere dall’ansia della digitalizzazione, bisognerebbe fermarsi e capire se si hanno gli strumenti per farlo come si deve. Viceversa si trovano altre strade, ma mai e poi mai buttare soldi in qualcosa che non frutterà niente. Perché è giusto cercare di risparmiare, ma, se ciò ti porta a non ottenere nulla, sei stato sciocco a risparmiarti il giusto.